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Facciamo il “condominio di strada”, per ricostruire le comunità

Un modo per gestire gli spazi e gli interessi comuni ma soprattutto i rapporti di chi ci abita

Un’alleanza per migliorare la qualità della gestione dei condomini nelle nostre città: buona amministrazione, risparmio, mediazione dei conflitti di vicinato, attivazione di rapporti con le istituzioni locali, sicurezza del piano stradale. Con queste buone intenzioni l’Uniat (Unione nazionale inquilini ambiente e territorio), presieduta da Augusto Pascucci, e l’Uppi (Unione piccoli proprietari immobiliari), presieduta da Angelo de Nicola, hanno lanciato un’iniziativa per i proprietari di immobili, per gli inquilini e i residenti in genere.

Il nuovo servizio messo a disposizione dei cittadini si chiama “Condominio di strada”. L’idea messa a punto propone un nuovo modello per la gestione dei condomini, del fronte della strada e della cura del patrimonio pubblico di zona in una rinnovata relazione tra le comunità di persone e il territorio.

Ne abbiamo parlato con Alfonso Pascale, esperto di sviluppo locale e innovazione sociale che, dopo una lunga esperienza di direzione nelle organizzazioni di rappresentanza dell’agricoltura, nel 2005 ha promosso l’associazione “Rete Fattorie Sociali” di cui è stato presidente fino al 2011.

Cosa c’è dietro all’idea del Condomino di strada? «Si tratta di una modalità innovativa per ricostituire le comunità, soprattutto nelle grandi città, ma anche nei piccoli centri; visto che anche in questi ultimi i legami sociali si stanno sfaldando sempre di più. Il Condominio di strada comincia a mettere insieme quelle aggregazioni naturali e spontanee che esistono tra persone che vivono nello stesso palazzo, nella stessa strada, nello stesso quartiere al fine di costituire dei servizi comuni e di impegnarsi in forme di autoorganizzazione. Questa è la novità del progetto. Questa iniziativa è rivolta non solo agli amministratori di condominio ma anche, e soprattutto, ai cittadini. L’idea è quella di unire questi ultimi al fine di gestire in forma comune una serie di servizi per la collettività».

Come può trovare spazio un’idea del genere, laddove anche all’interno dei condomini le relazioni sociali sono ridotte ai minimi termini? «La sensibilizzazione che sta partendo è diretta agli amministratori di condominio, che solitamente non hanno una forte cultura aggregativa. Non mancano, fortunatamente, amministratori intelligenti, che capiscono di essere in grado di dare una marcia in più alla propria professione se restituiscono al condominio la sua dimensione comunitaria, che è quella che c’è in altri Paesi europei e negli Stati Uniti, dove i condomini sono gestiti da associazioni di proprietari e inquilini e sono, quindi, vere e proprie strutture associative. In Italia non c’è questa tradizione, perché il condominio nasce giuridicamente durante il fascismo e poi è stato inserito nel codice civile nel 1942, evitando in tal modo la forma associativa. Da noi c’è una forte dipendenza dall’amministratore. Oggi non c’è più la comunità, che è stata assorbita dai partiti e dalle associazioni che nascono per fini privatistici. Dobbiamo, invece, ricostituire comunità che svolgono attività di interesse collettivo».

Quali obiettivi spera che si potranno raggiungere? «Il Condominio di strada nasce dalla consapevolezza che oggi nella società contemporanea c’è una forte mancanza di legami comunitari. L’obiettivo è quello di arrivare alla consapevolezza che i beni comuni sono della collettività e non degli enti locali. Noi dobbiamo ripristinare questo livello, che è stato eliminato. In sintesi, la gestione dei beni comuni deve essere esercitata direttamente dalle popolazioni, che devono autoregolarsi in maniera spontanea».

D’altronde, la ridefinizione dei valori sociali, culturali, economici, tradizionali e relazionali, costituiscono la nuova cifra della complessità presente nel tessuto urbano delle città contemporanee.

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