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Sì sì diamo le case ai rom magari con proprietà immobiliari e auto di lusso che i romani non si possono neanche sognare parcheggiate nei campi nomadi da terzo mondo che ci costano 24 milioni di euro l’anno. E che i 15mila romani in attesa si rodano pure il fegato. Tutti contro il piano Danese che, per chiudere i campi rom nel 2018, è pronta a incrociare i dati del Campidoglio con quelli della Guardia di Finanza per capire chi merita una casa popolare e chi no. A inizio febbraio la neo assessore a Casa e Servizi sociali aveva già fatto discutere con l’idea di assegnare ai rom il compito della raccolta dei rifiuti perché sono già abituati. Ma ora ne spunta un’altra: la casa popolare ai rom. «Che distruggeranno come hanno fatto assaltandole qui a via Bo» ricordano gli inquilini delle case consegnate ai romani a Colle Aurelio dall’ex sindaco Alemanno – o le rivenderanno come fanno già con quelle che occupano».
Ai Caf intanto c’è già la fila. «Compiliamo i moduli alle donne nomadi spedite a fare l’Isee per presentare domanda all’ufficio Politiche abitative. Ma è solo per avere una casa da rivendere» spiega Giusi Guadagno, impiegata 45enne al patronato-caf in zona Centocelle Prenestino, che conferma l’allarme sul racket lanciato su Il Tempodal presidente dell’Unione inquilini, Massimo Pasquini: «Case assaltate e rivendute – aveva detto – a 30-50mila euro l’una». «Ogni mese, qui da noi, si avviano due-tre pratiche per richiedere una casa da parte di famiglie rom – continua Giusi -. Mandano avanti le donnne, una del campo di via Salviati giorni fa mi ha detto: “Io faccio l’Isee perché spero che mi danno casa così la vendo”. Chiedono persino la tessera dell’autobus, ma se loro il biglietto non lo pagano mai..?».
E i romani? Masticano amaro. «Come smaltiranno la fila chilometrica?» si chiede Dario Rossin vice capogruppo Forza Italia in Consiglio comunale.
C’è chi passa la vita in assistenza alloggiativa come Piera Fumenti e Assunta Candidi, due amiche di 73 e 67 anni, nel residence Borgo del Poggio a via di Fioranello. Sentite cosa scrivono. «Salve, siamo due amiche che risediamo in assistenza alloggiativa del Comune di Roma ormai da troppi anni. Sfinite di essere sempre in attesa, anno dopo anno, di una casa popolare. Forse perché siamo italiane? Come mai gli ultimi arrivati (stranieri e rom) sono sempre prima di noi?» si chiedono le nonne che «nonostante l’età» si dichiarano pronte a «riprenderci i nostri diritti e non sentirci stranieri in casa nostra».
«Oltre all’esercito dei 15mila che marciscono nelle liste d’attesa – dice Fabrizio Santori, consigliere regionale membro della commissione Politiche abitative, un altro contro il piano Danese – ci sono tutti coloro che hanno ottenuto l’assegnazione ma non sono mai entrati in casa perché l’hanno trovata occupata. Poi ci sono quelli che sono in una casa popolare da terzo mondo, in alcuni casi costretti a lasciarle per problemi di agibilità. E i disgraziati di cui il Comune si è perso i documenti». Franca Franchi, 52 anni, separata con figli, è una di questi. «Sono entrata in assistenza alloggiativa nel ’93, oggi sono in via Montecarotto 11 a Torraccia – dice – era già successo che si fossero smarriti i documenti nel trasferimento dagli uffici da Lungotevere all’Eur, in questi giorni sono tornata all’Ufficio per vedere la sua situazione e ho appreso che si sono smarriti tutti i documenti, per loro non esisto dal ’93, e purtroppo non sono sola, ho fatto la richiesta di accesso agli atti e se non saltano fuori vado in Procura».